Report, 31 luglio 2008 (2)
A cura di S. Santamaita, F. De Giovanni, A. D’Angelo e D. Chiat
La zona che abbiamo visitato è quella di Dedaye, a circa tre ore di auto da Yangon. Dedaye è il centro di riferimento di una zona più vasta che comprende molti villaggi sparsi nell’area del grande delta del fiume Ayeawaddy (Irawaddi). Da Dedaye, in lancia, abbiamo raggiunto dopo un’ora di navigazione, il primo villaggio, Kyone Hamaw, e poi da lì, ancora in barca, fino al secondo villaggio: Kyauksayit. In entrambi i villaggi, a quasi tre mesi dal disastro, si vedono ancora chiaramente i segni di ciò che è passato di lì. Molte case (capanne) hanno per tetto dei teloni di plastica, le palme sono per lo più “pali pelati”, i segni delle ondate alte fino a tre metri sono ancora sugli alberi, le scuole (in muratura) sono un cumulo di macerie; abbiamo visto pochissimi animali da lavoro (il ciclone se ne è portati via almeno la metà).
I bambini fanno lezione nei monasteri, a terra, senza banchi o lavagne, con le matite e i quaderni donati dall’Unicef.
In una di queste scuole improvvisate, con bambini dai 6 ai 12 anni, abbiamo chiesto quanti ne mancavano all’appello dopo il ciclone: venti!
Solo alcune case dei villaggi sono vicine le une alle altre, molte sono sparse, vicino ai campi di riso e proprio in queste case periferiche si sono avuti il maggior numero di morti, portati via dal vento e dalle acque.
L’acqua potabile scarseggia, anche se ora raccolgono quella piovana con i teloni. Anche il cibo scarseggia, ci hanno detto che al momento hanno solo la metà del loro fabbisogno di riso e che gli aiuti sono ancora scarsi e saltuari. Non hanno nemmeno ancora le stoviglie necessarie a cucinare.
Di emergenze sanitarie non ci hanno parlato. Anche se siamo stati sempre in compagnia di un inviato del ministero, abbiamo potuto parlare liberamente con la gente. Le persone ci sono sembrate ancora sotto shock: ma, dopo aver sentito alcuni racconti di quelle terribili dieci ore, non ce ne meravigliamo.
Lungo la strada verso Yangon abbiamo visto alcune tende UNHCR, alcune case prefabbricate in legno e alcuni camion di aiuti internazionali, ma abbiamo avuto l’impressione che questi aiuti si concentrassero soprattutto nelle zone visibili agli osservatori e che alla periferia della strada principale e nei villaggi lontani, come e più di quelli visitati da noi, manca ancora tanto.
Ne abbiamo avuta una conferma leggendo il report del Post-Nargis Joint Assessment (PONJA) del 21 luglio a cura dell’ONU riguardo alla situazione attuale, che informa di tutto ciò che, a distanza di tre mesi, ancora non è stato realizzato, nonostante sembra non ci siano più gli ostacoli ai soccorsi internazionali posti in un primo tempo dalla giunta militare.
Al ritorno abbiamo brevemente discusso e deciso che, per i due villaggi visitati, avremmo contribuito in due diverse modalità:
a) dal mese di agosto fino a novembre 08 (data del nuovo raccolto di riso) stanziamo 1.500 dollari al mese, che andranno a coprire il gap alimentare ancora esistente fra fabbisogno e disponibilità. Il denaro è sufficiente all’acquisto e alla distribuzione mensile di circa 2500Kg di riso, olio e altro
cibo, oltre che all’acquisto di pentole e altri strumenti di cucina.
b) dal mese di dicembre daremo inizio alla ricostruzione delle due scuole distrutte dal ciclone, una per villaggio. Le attrezzeremo di banchi e tutto ciò che occorre.
Artemisia project in Myanmar
Durante l’incontro con il ministro dell’agricoltura, siamo stati invitati a illustrare il progetto “Artemisia” che stiamo svolgendo in Rwanda. Sembravano molto interessati a un suo possibile sviluppo in Myanmar.
L’esposizione ha richiesto quasi un’ora, fra proiezione di foto e domande. Abbiamo lasciato una bozza di progetto di possibile sviluppo, ma occorrerà fare maggiore chiarezza su chi sono gli interlocutori (il Ministero della Salute sembra più appropriato di quello dell’Agricoltura) e su quale direzione
potrebbe prendere tale progetto in Myanmar. Sembra (da notizie acquisite un questi ultimi giorni) che l’artemisia fosse coltivata nella zona di Pyin Oo Lwin, ma che la coltivazione era destinata alla produzione in Myanmar di un farmaco antimalarico a base di artemisinina. Sembra poi che il contenuto del principio attivo di quelle piante non fosse sufficiente e quindi che l’impresa si sia bloccata. Il nostro progetto va un direzione diversa (non la coltivazione in larga scala per la produzione di un farmaco, ma la diffusione dell’uso del tè di
artemisia) e quindi dovremmo riuscire a chiarire questo punto importante prima di muovere altri passi.
Sostegno alle famiglie di strada di Yangon
Si sta provando a strutturare con Thann Oo, il referente di Share in Myanmar, un piccolo progetto di sostegno ad alcune famiglie “di strada” di Yangon. La formula sarebbe quella di un aiuto economico e consulenza per iniziare un piccolo business stabile a fronte dell’impegno di dirottare i bambini dalla strada alla scuola. Stiamo anche considerando la possibilità di aprire noi stessi una scuola che possa accoglierli. Il progetto è in fase di studio di fattibilità: intanto i “nostri” ragazzini ci aspettano e sperano…
Visita alla regione del delta, devastata dal ciclone “Nargis”
A seguito di un colloquio con l’ambasciatore del Myanmar a Roma, il 27 luglio siamo stati ricevuti dal Ministro dell’Agricoltura. A lui abbiamo chiesto un permesso per accedere alla zona del delta devastata dal ciclone Nargis, al fine di poter formulare una nostra offerta di aiuto. Il permesso ci è stato accordato senza problemi e tre giorni dopo abbiamo organizzato una veloce spedizione.