Le mani di Lon Main Mhwar: Shiatsu, condivisione e emancipazione
articolo di Alfredo D’Angelo per la rivista “Arte del Vivere”
Le mani di Lon Main Mhwar sono minute, ma si muovono con sicurezza lungo la schiena della sua piccola amica. Lo sguardo concentrato e sereno con cui accompagna ogni loro lieve movimento sembra confermare la profondità della loro pressione. Il silenzio è leggermente increspato dal fruscìo dei ventilatori, che imprimendo il moto all’aria calda e secca della sala, recano un po’ di sollievo e un accenno di frescura, mentre il fogliame fitto del grande albero del cortile rimane immobile, paziente, aspettando le prime piogge di maggio.
Mentre guardo la ragazza che esegue con diligenza l’esercizio che le è stato proposto, mi chiedo se lo Shiatsu, che fino a qualche mese fa le era completamente sconosciuto, accompagnerà d’ora in poi la sua giovane vita, se maturerà la decisione insieme con la costanza, indispensabili per continuare a studiare, e se la valutazione che ho dato al suo talento non sia stata suggestionata dalla speranza di veder subito attecchire in lei e negli altri ragazzi di questa scuola il seme dell’interesse per questo percorso di studio. Quando, quasi venticinque anni fa, ho incontrato lo Shiatsu, me ne sono innamorato all’istante; e lo Shiatsu mi ha ripagato, aprendomi la porta ad altre conoscenze e a cambiamenti profondi della mia vita. Ora nutro la stessa speranza per loro, ma a Lon Main Mhwar non so ancora dirglielo.
La Valle della Confluenza
La ragazza con cui si sta esercitando si è addormentata, segno che le mani diffondono la tranquillità del suo respiro: questo è senz’altro un altro piccolo segnale della bontà della sua pressione. Ai ragazzi che arrivano in questa scuola per non udenti da tutte le parti del Myanmar i concetti fondamentali vanno spiegati col linguaggio dei gesti. Per noi Italiani sembra un vantaggio, vista la diffusa tendenza a gesticolare quando ci esprimiamo, ma agitare le mani è altra cosa dal parlare con i gesti, come diverso è schiacciare e offrire pressione.
Avevo notato che la nostra interprete, un’insegnante della scuola, traduceva la parola “Shiatsu” con un gesto delle due mani che pizzicottando l’aria si allontanavano fra loro. No, quel gesto non avrebbe aiutato a comprendere l’essenza dello Shiatsu: offrire una pressione che avvolge e mette in contatto profondo la vita di uno con quella dell’altro. In effetti l’insegnante stava prendendo a prestito il segno che per convenzione significa “massaggio”, non essendo la parola “Shiatsu” presente nel loro “gestuario”.Ci ho riflettuto un giorno intero, poi ho proposto un nuovo segno: il palmo della mano destra che abbraccia il dorso della sinistra, mentre il suo pollice esercita pressione nell’incavo fra l’indice e il pollice della sinistra, sul 4 del meridiano del Grosso Intestino, Go koku, “la Valle della Confluenza”. E’ piaciuto, e da allora vado orgoglioso per aver coniato un nuovo segno del linguaggio dei gesti in Myanmar.
Il logo e un salario da fame
Un anno prima avevamo iniziato un percorso simile in un villaggio della Cambogia, anche lì nell’ambito di un progetto dell’associazione onlus Share – Human Life Project. Un gruppo di ragazzine più o meno quindicenni erano ad un bivio, come tante loro coetanee. Avrebbero voluto continuare ad andare a scuola ma, poiché la situazione economica familiare non lo permetteva, avrebbero dovuto mettere da parte i quaderni e i sogni di un futuro diverso per andare a lavorare nei campi o, peggio, per vendere la loro giovane forza lavoro e farsi assumere in una delle fabbriche tessili di Phnom Penh. Quelle che sfornano magliette, jeans e altro abbigliamento a cui l’aggiunta del logo darà in Europa o negli USA un valore spropositato se comparato a quello del loro salario da fame. Alla domanda “cosa ti piacerebbe fare se ti fosse data la possibilità di studiare?”, molte di loro rispondevano: il medico! oppure: l’infermiera! Personaggi improbabili in un villaggio che non ha ambulatori né tantomeno presìdi medici e che si trova a due ore (e mezzo salario) dall’ultimo ospedale della capitale.
Domande…
A quelle ragazze abbiamo proposto di imparare lo Shiatsu e, nel frattempo, ci saremmo preoccupati di dare mensilmente alle loro famiglie una cifra sufficiente perché potessero continuare a studiare e anche una bella bicicletta nuova per andare a scuola. Il corso è cominciato nei locali dell’asilo del villaggio, che Share aveva fatto costruire grazie ai soldi raccolti in Italia con la vendita solidale dei tradizionali cestini in foglia di palma intrecciata, fatti dagli artigiani dello stesso villaggio. I nostri dubbi erano di varia natura: come risponderanno alla pratica dello Shiatsu, le mani che si muovono sul corpo di un altro, persone di una cultura così diversa dalla nostra? Sono ragazze di quindici anni: hanno già maturato la capacità di comprendere i concetti così complessi che sono alla base di questa disciplina? Che futuro può riservare la conoscenza dello Shiatsu a ragazze di un villaggio della campagna cambogiana? Riusciremo, in un arco di tempo di tre o quattro anni, tornando qui un paio di volte all’anno, a dar loro una preparazione adeguata? Abbiamo deciso di lasciare al tempo le risposte e di dare inizio all’esperienza. Oggi, a due anni da quel primo avvio, a Sok Lye, Monnì, Phalla, Piroom, Sray Nat, Srai Mom, Phali, si sono aggiunte altre ragazze e altri ragazzi e il gruppo è ora costituito da almeno due dozzine di studenti e lo Shiatsu non è più una cosa sconosciuta da quelle parti.
…e risposte
La diversità culturale non ha impedito il travaso di conoscenza né ha inibito in alcun modo le mani. La pressione dello Shiatsu sembra possedere un linguaggio universale, che trascura le differenze relative alla cultura di questa o quella parte del mondo. Qualche tentennamento iniziale, che anche fra i nostri ragazzi potremmo trovare, ma poi le mani andavano spedite a cercare e a premere. Il corpo e la sua forza vitale rispondono a Roma come a Oudong, vibrano sotto la pelle dell’avvocato come sotto quella del contadino. Laddove il pensiero conformato trova differenze, la sensibilità le trascende e indica la strada della riunificazione fra una persona e un’altra.
E poi i ragazzi assorbono molto di più e molto più in fretta degli adulti. Ma sono in grado di comprendere? Certo, il tempo dell’esperienza, anche in una disciplina come lo Shiatsu, ha la sua grande importanza. Ma il valore del tempo, nello studio, cambia in relazione a un altro elemento: quello della sete di conoscere, dell’entusiasmo di sentire, della consapevolezza della pratica. Si sa che i giovani hanno uno stato d’animo più vivace e questo fattore provvede in gran parte alla loro oggettiva mancanza d’esperienza. Col tempo, poi, i fondamenti di questo studio accompagneranno la maturazione di questi giovani, senza fretta.
Giovani risorse
Riguardo al loro possibile futuro professionale stiamo dando forma a diversi progetti, incoraggiati dalla risposta alle prime esperienze di trattamento che queste ragazze e questi ragazzi stanno ottenendo da parenti, amici e anche da persone che arrivano dai villaggi vicini. Potremmo certamente metterli in contatto con alcuni alberghi della capitale oppure portarli ad Angkor, dove arrivano un sacco di turisti. Forse lo faremo, ma non vogliamo pensare solo con i nostri parametri europei al futuro di questi giovani shiatsuka. Nelle aree rurali di un paese povero come la Cambogia non girano che modeste quantità di denaro, è vero, ma che una forma di sostegno per la salute di questi poveri contadini venga da una risorsa umana locale, i loro giovani appunto, rende queste persone più autonome e, in una qualche misura, più libere. Il fatto che lo Shiatsu possa essere per queste comunità uno strumento di emancipazione e in alcuni casi di affrancamento dal bisogno di un’assistenza medica, peraltro in questi luoghi carente quando non del tutto mancante, lo rende qualcosa di straordinariamente utile e di valore. Il sorriso e i ringraziamenti che questi uomini e donne riservano al loro “benefattore”, rialzandosi dalla stuoia dopo un trattamento di Shiatsu, sono una continua e sicura testimonianza di tutto questo.
Contaminazioni culturali
Ora Lon Main Mhwar si avventura negli stiramenti di gambe e braccia. La sua giovane amica si è risvegliata e pazientemente si lascia andare ai movimenti che le vengono suggeriti dalle mani dell’altra. L’indice e il pollice che si picchiettano fra loro con la velocità del punzone del telegrafo sta a significare “fa male!”, e allora Lon Main Mhwar si ferma, le sorride e intanto cerca di capire, e poi prova ancora. Il pollice in sù (questo segno è internazionale) indica che ora tutto va bene: fin lì lo stiramento libera e stimola la circolazione dell’energia, e non fa male.
Qui in Myanmar la situazione politica e sociale è un po’ diversa da quella della Cambogia e il regime militare, che da decenni controlla il potere in maniera assoluta e minuziosa, ci ha impedito di portare lo Shiatsu nei villaggi di questo paese. I generali temono contaminazioni culturali e sociali fuori dal loro controllo. Ci hanno concesso però di lavorare con questi ragazzi non udenti della scuola Mary Chapman, qui a Yangon, la capitale. La vecchia scuola, fondata negli anni del protettorato inglese sulla Birmania, non è gestita dal governo: gli insegnanti e le persone dello staff sono poco meno che volontari e si tiene in vita grazie alle donazioni che riesce a raccogliere, in patria e all’estero. Solo la metà delle famiglie di questi ragazzi paga regolarmente la quota scolastica (peraltro minima), le altre famiglie non possono permettersi neanche quello.
Abbiamo cominciato il corso di formazione lo scorso anno e i ragazzi e le ragazze che lo seguono con assiduità sono quaranta. I più piccoli, dai dodici ai quindici anni sono, manco a dirlo, i più vivaci, ma se la godono da matti a ricevere trattamento, e intanto prendono confidenza con i movimenti e la pressione. I più grandi sono attenti e si impegnano con un grande senso di rispetto verso il partner di turno. Alcuni di loro, lo si vede, sono particolarmente dotati e qualcuno già comincia a proporsi per brevi trattamenti in famiglia. Molti vivono nella scuola perché vengono da luoghi lontani: il Myanmar è un paese grande e la condizione di strade e ferrovie rendono i tragitti difficili e lunghi. Così tornano a casa solo nel perido di chiusura della scuola, che qui va da marzo a maggio. Quando mi hanno detto di aver cominciato a offrire trattamenti di Shiatsu nel loro villaggio durante il periodo di vacanza, ho pensato che, presto fatto, l’esorcismo governativo era stato aggirato ed ecco che lo Shiatsu cominciava a penetrare benefico fra una capanna e una palafitta, di casa in casa. Evviva!
Gli Operatori per il Bene comune della Salute
Il network degli Operatori per il Bene comune della Salute si è costituito di recente. Molti di noi hanno una lunga esperienza nello studio e la pratica dello Shiatsu, ma ci sono anche medici, studiosi e praticanti di Yoga, agopuntori e naturopati. Ci unisce il desiderio di diffondere metodi naturali per la salute perché le persone possano sviluppare la capacità di curare se stesse e di aiutare gli altri. Ci coinvolge l’impegno a svolgere un’opera di educazione che diventi un percorso di evoluzione personale e di crescita di tutti, che faccia comprendere che la salute è un bene comune e insegni a coltivarlo e preservarlo.
Lo Shiatsu, oltre ai corsi, le scuole, i trattamenti, i diplomi e i riconoscimenti, ci appare in questo modo nel suo valore più vero e originale: il cuore che parla con le mani, per unire l’uno all’altro, per farli sentire parte di un unico accordo. I suoi benefici effetti collaterali, il fatto che crei benessere, che dia stabilità allo stato d’animo e al corpo, che aiuti a superare disturbi e momenti di difficoltà, non sono che altrettante dimostrazioni che la vita si muove naturalmente verso l’armonia dell’insieme e che la condivisione è il modo migliore di vivere.
La pressione dello Shiatsu non è Tutsi né Hutu
Lo scorso novembre abbiamo dato vita a un altro corso di formazione, a Kigali, in Rwanda. Lavoriamo con venticinque ragazzi e ragazze di venti, ventidue anni, che nel 1994, quando il loro paese ha vissuto uno dei più orribili e cruenti genocidi della nostra storia, erano poco più che bambini. Conosco frammenti delle loro storie, ritagli sparsi di vite segnate da episodi di indescrivibile violenza e da stati di profonda sofferenza. Abbiamo pensato che anche lì l’uso di uno strumento così vicino al cuore e alla vita, come lo Shiatsu, avrebbe potuto essere d’aiuto.
Passy non sembra particolarmente incline a diventare una shiatsuka professionista, ma durante le lezioni le mani dei suoi compagni che premono su di lei le restituiscono forse un po’ del calore dei genitori che le sono stati tolti in modo così brutale. E poco a poco lascia andare le sue tensioni, che hanno origini così profonde, senza distinguere una pressione tutsi da una pressione hutu: non avrebbe alcun senso!
Bruce vuole sapere quali esercizi deve fare e quali punti premere per ridare al suo fratellino l’uso delle articolazioni, bloccate da una forma artritica. La pressione di Jean Richard rimane sulla porta, stabile e sicura, ma attenta ad entrare solo quando l’altro glielo permetterà. Christian è il più plastico, studia le Arti marziali e già comprende i tanti punti in comune con lo Shiatsu. Belami è attento e scrupoloso e vuole sapere con precisione dove il suo pollice deve premere. Emmanuel vuole bruciare le tappe e ha già fatto una dimostrazione di Shiatsu di fronte al sindaco di Kigali, venuta in visita alla Maison des Jeunes. Geràrd è bravo e desideroso di studiare, ma la malaria gli ha impedito di essere presente al corso l’ultima volta…
Può lo Shiatsu elevarsi a strumento di riconciliazione all’interno di una comunità? Perché no? Se per fare una pressione perpendicolare, costante e concentrata, occorre trovare il proprio baricentro e la stabilità del corpo, se si deve assumere padronanza del proprio respiro e se questo deve guidare a un ascolto attento e rispettoso dei fenomeni vitali dentro se stessi e dentro l’altro, allora lo Shiatsu diventa un veicolo di conoscenza, di condivisione, di riunificazione.
Il futuro di Lon Main Mhwar
Lon Main Mhwar ora ha fatto girare la sua paziente amica sulla schiena e le tiene la mano sulla pancia, mettendosi all’ascolto, lei che non sente con le orecchie, delle sottili vibrazioni della forza vitale. Non so se diventerà un’operatrice di Shiatsu, non so se gli avvenimenti della vita mi porteranno a saperlo un giorno, ma in quella postura, in quel respiro, in quella pressione delle mani, mi sembra di scorgere la donna che sarà. E forse ora, anche grazie allo Shiatsu, sta già sviluppando la voglia di condividere il suo futuro con gli altri.